Il ritorno del Fronte Popolare?
Gli entusiasmi per l’inaspettata vittoria contro il “pericolo nero” insieme all’euforia delle sinistre per l’avanzata del Nuovo Fronte Popolare, si sono attenuati. Ora la Francia dovrà risolvere il grande problema del nuovo governo.
I dati elettorali definitivi non indicano una netta maggioranza all’interno delle alleanze sia di sinistra che di centro destra, rendendo molto complicata la formazione di una coalizione con il rischio di un conflitto tra i vincitori.
La nuova Assemblea Nazionale è divisa in quattro blocchi: su un totale di 577 seggi, 184 vanno al Fronte popolare, 166 ad Ensamble (per Macron), 66 ai Gollisti, 143 alla estrema destra di Rassemblement National compresi i Gollisti scissionisti. I 18 che restano sono distribuiti tra piccole formazioni.
La censura Rai. I primi commenti provenienti dagli amici italiani della Le Pen, parlano di “Vittoria di Pirro”. Che altro potevano dire per mascherare la rabbiosa reazione di fronte a una sconfitta inaspettata? Ma ai commenti sono seguiti i fatti di una censura degna di un regime autoritario: Rai news 24 non ha dedicato al ballottaggio francese lo spazio adeguato, “oscurando” la sconfitta della Le Pen, contrariamente a quanto hanno fatto le Televisioni private.
«Rai news 24 non ha mai toccato il fondo in questo modo», hanno dichiarato i membri del sindacato giornalisti dell’Azienda pubblica. Sotto accusa è il direttore Paolo Petrecca che avrebbe dato molto più spazio a un festival in cui si esibiva la sua compagna, una cantante.
Ma mettiamo una parentesi sulle meschinerie della politica di casa nostra per tornare a Parigi e alle manovre per la formazione del nuovo governo.
Come è noto, la Francia è una Repubblica presidenziale. Il presidente è il responsabile della gestione del potere esecutivo, sceglie il primo ministro cui compete l’esecuzione delle leggi, che praticamente appare come il notaio delle decisioni presidenziali.
Questo accade se il governo ha il sostegno della maggioranza politicamente compatta dei parlamentari. Dopo queste elezioni una maggioranza dipende unicamente da accordi tra partiti di “colori” diversi.
Le decisioni spettano al presidente Macron che come primo intervento ha respinto le dimissioni del premier in carica Gabriel Attal, pregandolo «di assicurare, per il momento, la stabilità del Paese». Probabilmente manterrà l’incarico sino alla fine delle Olimpiadi.
Con questa manovra Macron intende prendere tempo per trovare una soluzione: il suo partito, privo di maggioranza relativa, deve inevitabilmente coabitare con altre forze politiche e non può ignorare che la maggioranza relativa è stata conquistata dal Fronte Popolare, formato da socialisti, ecologisti, comunisti e da France Insoumise, che ha preso più voti.
Il leader di quest’ultimo partito, Jean-Luc Melénchon, ha già preteso l’incarico di Primo ministro e la formazione del nuovo governo. Ma è difficile che l’ottenga: non è ben visto anche negli ambienti più moderati della sinistra. Lo spiega Domenico Quirico sulla Stampa che, forse esagerando, scrive di lui: «Melénchon è il vincitore che mina il successo progressista (…) è l’arruffa popoli che vive di frasi e con le frasi non si può governare».
La Storia politica della Francia ha avuto nel secolo scorso altri due Fronti Popolari: il più recente risale alle elezioni presidenziali del maggio 1981 che con la maggioranza assoluta elesse il socialista Mitterrand; l’altro risale al 1936, quando i socialisti e i comunisti dopo due anni di lotte riuscirono a far cadere il governo di destra corrotto e condizionato dai movimenti fascisti della Cagoule sovvenzionati dal fascismo italiano.
Il governo di Léon Blum. Alle elezioni del 3 maggio di quell’anno, il Fronte ottenne una vittoria schiacciante con 386 voti su un totale di 608. Divenne primo ministro il leader socialista Léon Blum il quale attuò un vasto programma di riforme sociali come le ferie pagate, la riduzione dell’orario di lavoro a 40 ore, il voto alle donne. Per la prima volta nella storia di Francia, tre donne occuparono i posti di ministro ancor prima che scattasse la legge sul voto.
Quel governo durò solo due anni: alla sua caduta influì il debole atteggiamento – criticato dai comunisti – verso la guerra civile spagnola dovuto al rifiuto della Francia (insieme alla Gran Bretagna) di correre in soccorso della Repubblica per fermare l’avanzata di Franco, che invece era militarmente sostenuto dalle truppe italiane e dall’aviazione tedesca (vedi il bombardamento di Guernica del 1937).
Il Partito comunista francese (strettamente legato all’URSS di Stalin) già critico per l’atteggiamento remissivo della Francia verso le sanzioni decretate dalla Società delle Nazioni contro l’Italia che aveva invaso l’Etiopia, tolse prima i suoi ministri dal governo, e in seguito uscì dalla maggioranza.
Insomma, la litigiosità tra le sinistre non tramonta mai e offre spazio alle destre. Per esempio alle ultime elezioni democratiche della Repubblica di Weimar, dove Hitler vinse ma non ottenne la maggioranza assoluta. Se socialisti e comunisti si fossero alleati, avrebbero vinto. Ma i comunisti definivano gli altri dei “borghesi reazionari” ed erano certi che un governo nazista avrebbe fallito dando spazio alla “rivoluzione bolscevica”. Sbagliarono e in breve tempo tutti i dirigenti di sinistra si trovarono in un campo di concentramento.
Dopo Blum, a Parigi tornò un governo di centro destra, quello di Daladier, che firmò insieme al premier britannico Chamberlain, il Patto di Monaco dando via libera a Hitler per invadere la Cecoslovacchia. Fu la premessa dello scoppio della Seconda guerra mondiale e la successiva resa della Francia all’invasione nazista.
Allora il nazifascismo era molto più forte dell’ondata nera che ha invaso l’Europa di oggi. Ma nonostante la sconfitta in queste elezioni francesi, il neofascismo non va sottovalutato: non bisogna dimenticare che l’estrema destra ha ottenuto ugualmente un grande risultato, non solo in Francia, ma anche in Germania e in Italia dove conserva il potere. Pertanto sarebbe un errore non interrogarsi sul forte consenso ottenuto soprattutto dalla classe operaia e dagli altri ceti popolari.
Chi ha ceduto per prima alla estrema destra è stata l’Italia quando alle elezioni del settembre 2022, la cosiddetta sinistra non è stata in grado di creare un fronte popolare, di mobilitarsi per porre gli italiani di fronte alla responsabilità di un pericolo neofascista. Lo hanno fatto nel luglio del 2023 il premier socialista spagnolo Sanchez con le elezioni anticipate per arginare l’estrema destra di Vox, e il “centrista” Macron due settimane fa. Entrambi hanno vinto la scommessa.