Impressioni di dicembre
A guardare come gira il mondo di questi tempi, non è difficile arrivare alla conclusione che tutti gli assetti e gli equilibri stiano cambiando, anche i rapporti di forza tra i giganti in scena, ma nessuno è davvero in grado di prevedere i tempi e gli esiti di questo cambiamento che appare ormai irreversibile.
La cosa più impressionante è che gli americani resistono nell’essere quello che sono sempre stati, mentre gli europei persistono in quello che mai sono stati.
In soldoni lo stato delle cose: gli USA, da sempre player principale – nel bene e nel male – dei giochi mondiali, al momento sono indebitati con Giappone e Cina per 2.000 miliardi di dollari… mentre noi siamo sempre meno Stati Uniti d’Europa, e sempre più “Il Club dei 27 patrioti di Provincia”.
Sullo sfondo degli scenari bellici, inclusi quello civile degli ultimi giorni in Corea del Sud e delle ultime ore in Romania e Siria, si intravvedono i principali protagonisti che sono i Putin, Erdogan, Xi Jinping, addirittura Kim Jong-un… non sarà certo Trump a cambiare granché.
Sì, è l’occidente nel suo complesso che sta cedendo il passo a quella parte di mondo al quale ha già assegnato da tempo la produzione energetica, poi quella industriale, infine il commercio di ogni bene ordinario: dai microchip, al pannolino per il culetto del bebè.
L’ho già scritto: è come se l’Occidente avesse già fatto tutte le cose importanti negli ultimi due secoli, ed ora se ne stesse ai margini del mondo a godersi, fin che ce n’è, la ricchezza residua. Di cambiamenti necessari non ha ricevuto avviso. Quindi riceverà sorprese.
Per raccontare meglio le nostre miserie, torno a qualche settimana fa quando la Corte Internazionale di Giustizia ha spiccato l’ordine di cattura per crimini di guerra contro Benjamin Netanyahu e contro anche i capi di Hamas da lui stesso giù uccisi nel frattempo.
In conseguenza a questo atto importante – e certamente fortemente motivato – noi abbiamo sorbito le dichiarazioni con le diverse sfaccettature governative italiane, sull’inopportunità di questa azione della Corte dell’Aja, forse composta anche lì da giudici un po’ comunisti/antisionisti (!).
Ma qualcuno ha ancora idea di cosa è, o era, la Corte Internazionale di Giustizia?
Una propaggine naturale dell’ONU (Organizzazione delle Nazioni Unite) nata con un parto molto difficile in Italia, a Roma, nel 1998, grazie anche ad un lavoro difficilissimo di due ‘levatrici’ che si chiamavano Marco Pannella e Emma Bonino che hanno corroborato i lavori di 150 Stati membri. Di questi, 120 votarono a favore, 21 si astennero e 7 dissero no: Cina, Iraq, Israele, Libia, Qatar, USA e Yemen.
Dal 2010, il 17 luglio si celebra “La Giornata mondiale per la giustizia internazionale” in ricordo di quel giorno in cui alla FAO di Roma fu adottato lo Statuto che avrebbe istituito la Corte penale internazionale con competenza su crimini contro l’umanità, genocidio e crimini di guerra e anche per contrastare il narcotraffico mondiale.
La Corte è composta da quindici giudici di nazionalità diversa eletti dall’Assemblea generale e dal Consiglio di Sicurezza. I giudici restano in carica per nove anni e possono essere rieletti. Nessun paese può avere più di un giudice. Ognuno dei paesi membri permanenti del Consiglio di sicurezza ha sempre avuto un giudice. I giudici non sono rappresentanti dei loro paesi ma siedono a titolo personale e non devono farsi condizionare dalle autorità dello Stato di cui sono cittadini. Le decisioni sono prese a maggioranza dei presenti.
Nei suoi 25 anni di attività sono stati aperti casi su: Afghanistan, Repubblica democratica del Congo, Sudan (Darfur), Georgia, Kenya, Libia, Mali, Palestina, Uganda, Ucraina e Venezuela. Nel 2006 il presidente del Sudan Omar al-Bashir fu ritenuto il mandante del genocidio in Darfur, nel 2011 il dittatore Muammar Gheddafi fu accusato di crimini contro l’umanità, nel 2023 Vladimir Putin di crimini di guerra commessi in Ucraina.
I paesi africani spesso hanno accusato la Corte Internazionale di non adottare pari severità di giudizio tra nazioni ritenute più o meno ‘evolute’ secondo un criterio occidentale. Inoltre, le sentenze molte volte sono solo simboliche o per la mancata adesione a “Lo Statuto di Roma” del paese coinvolto nel giudizio, o ancor prima per l’impossibilità di esecuzione del mandato di cattura. Tuttavia, in un momento di caos mondiale come l’attuale, forse davvero senza precedenti, sarebbe importante che i paesi democratici tenessero una fermezza solida sui valori istituzionali e sulle istituzioni fondamentali acquisite con processi sempre complessi e difficili, ma imprescindibili se non vogliamo una transizione verso un mondo in cui si dialoga solo con le armi.