L’auto made in Italy cancellata dagli Agnelli
Parlare di crisi dell’automobile in Europa è troppo poco; meglio usare la parola crollo, il primo nella storia della più importante industria meccanica europea dal dopoguerra in poi che nel 2023 ha contribuito con circa 450 miliardi al prodotto interno lordo dando lavoro, compreso l’indotto, a 13 milioni di lavoratori.
In cima alla classifica del disastro spicca il gruppo Stellantis seguito dalla Volkswagen, i maggiori produttori del continente. Le voci che correvano da tempo sul primo si sono concretizzate col licenziamento dell’amministratore delegato Carlos Tavares, mascherato da “dimissioni accettate all’unanimità dal consiglio di amministrazione”.
Poveretto, dovrà rinunciare allo stipendio di 40 milioni di Euro l’anno, cifra che corrisponde circa a 2000 volte il salario di un operaio. Si potrà consolare però con la buonuscita. E pensare che Vittorio Valletta, presidente della Fiat sino al 1966, percepiva un compenso in Lire di “appena” 14 volte superiore a quella di un lavoratore.
Il metodo di Tavares era quello di elargire grossi dividendi agli azionisti (16 miliardi l’ultimo anno), di procedere all’aumento della produzione, ma in economia, a scapito di tagli nel personale e nella ricerca. Pertanto il gruppo non ha prodotto modelli nuovi, se non i vecchi, modificati, trascurando i motori elettrici e riducendo la mano d’opera. Ne ha risentito soprattutto l’Italia dove nelle poche fabbriche rimaste, i lavoratori subiscono a turno la cassa integrazione da anni.
La Stellantis, nata nel 2021, comprende il gruppo Fiat- Chrysler e Jeep fusosi con le francesi Citroen-Peugeot e la tedesca Opel. È ben presente nel gruppo col 9,6% anche il governo francese. In sei mesi la società ha venduto 200.000 auto in meno e il valore in Borsa è sceso al 43%. La Fiat in Italia ha prodotto circa 500mila veicoli, la metà della produzione del 1957 quando raggiunse il record del milione. A quei tempi subiva ancora la concorrenza dell’Alfa Romeo e della Lancia, mentre le auto straniere erano sottoposte a forti dazi doganali.
Protagonista della storia dell’auto
Un tempo l’auto italiana era la principale protagonista della storia dei veicoli a motore: le Fiat, le Lancia, l’Alfa Romeo, le Ferrari erano conosciute in tutto il mondo. La prima, nata nel 1899, si modernizzò quando il suo fondatore Giovanni Agnelli, nonno dell’”Avvocato”, in visita alla Ford di Detroit “scoprì” ai primi del secolo la produzione a catena e la applicò anche a Torino costruendo lo stabilimento del Lingotto.
Vincenzo Lancia, da giovane appassionato di motori, pilota e campione nelle prime corse automobilistiche, fondò l’omonima fabbrica che divenne famosa per la perfezione delle vetture e le innovazioni rivoluzionarie che precedettero i tempi. Per esempio la Lambda, già nel 1922, fu la prima auto al mondo con la carrozzeria portante, cioè priva del pesante telaio. Soltanto dal 1940 in poi quella novità venne utilizzata dalle case automobilistiche mondiali.
L’ Alfa Romeo grazie alla potenza dei motori e la modernità del design, divenne così famosa nel mondo tanto che Henry Ford affermava: «Quando vedo passare un’Alfa Romeo, mi tolgo il cappello».
E poi c’era l’Isotta Fraschini, più lussuosa della Rolls Royce, divenuta negli USA, ai tempi del “muto”, l’auto dei divi del cinema. Per esempio nel film Viale del Tramonto (1950) che rievoca quei tempi, era l’auto della protagonista (personificata da Gloria Swanson), guidata da Erich von Stroheim (che ne era l’autista).
Tra le due guerre la Fiat assorbì in Francia la fabbrica di motociclette Simca, che negli Anni trenta, per evitare i dazi doganali, trasformò in industria di assemblaggio dei componenti della Balilla, poi della Topolino e della 1100. Negli Anni settanta venne acquistata dalla Peugeot. Sempre in Francia, nel 1936 anche la Lancia ricorse all’assemblaggio per vendere l’avveniristica Aprilia.
Un italiano, negli Anni trenta “disegnò” la Citroen Traction Avant resa famosa dai gialli diMaigret e un altro italiano Ettore Bugatti, sempre in Francia, creò l’industria di auto di lusso che porta il suo nome.
Ancora la Fiat nel 1950 in Spagna assieme all’Istituto Nacional de Industria (l’Iri spagnola) fondò la Seat, che produsse la 1400, la 600, la 127, la vecchia Panda sino alla 131. Dal 1985 appartiene alla Volkswagen.
E questa storia è stata cancellata dopo la morte di Gianni Agnelli, dai suoi eredi (preoccupati soprattutto per l’eredità) e dall’Ad Sergio Marchionne che ridimensionò l’Alfa Romeo (in passato regalata dall’IRI alla Fiat) e praticamente abbandonò la Lancia ridotta a produrre la sola “Y”.
Infine gli eredi dell’Avvocato trasferirono la sede della Società ad Amsterdam e quella fiscale a Londra. Lo Stato italiano, che per anni aveva sovvenzionato la Fiat, non intervenne.
Passiamo alla Volkswagen
L’ amministratore delegato, Oliver Blume, ha annunciato che da mesi vengono prodotte 500 mila auto in eccesso aggiungendo che “è necessario ridurre le capacità produttive”, vale a dire riduzione del personale.
Una dichiarazione che ha coinciso con la richiesta della IgMetal (il sindacato tedesco) di aumenti salariali del 7% per il rinnovo del contratto. Si andrà allo scontro con una sequenza di scioperi.
Anche la Mercedes ha annunciato che taglierà i costi per miliardi di Euro. Segue la Ford europea che ha annunciato di aver subito “perdite importanti”, anche a causa della scarsa richiesta di auto elettriche, e pertanto ha annunciato 4000 esuberi del personale in Germania e Gran Bretagna.
Sono molte le cause di questo crollo. La prima risale all’ottobre del 2022 quando l’Unione Europea impose all’industria automobilistica l’abbandono totale del motore a scoppio in favore di quello elettrico entro il 2035.
Fu un colpo di testa in nome della battaglia contro le emissioni di Co2 decisa senza aver prima preparato un piano industriale. Le case costruttrici, prese alla sprovvista, dovevano cambiare il “cuore” delle vetture aggiornando il software, procurandosi nuovi materiali, soprattutto le batterie la cui produzione mondiale è controllata per il 75% dalla Cina.
Questa nazione che nel 2008 produceva appena il 4% dei veicoli mondiali e l’Europa il 32%, oggi ne produce il 32% contro il 17% del nostro continente.
Inoltre dal 2022 i prezzi delle auto europee hanno subito aumenti eccessivi: per esempio il modello base della Golf, l’auto più popolare della Volkswagen, oggi costa 30.150 Euro mentre due anni prima 26mila ed era già cara. Il Suv Tiguan costa dai 40mila ai 56mila, a seconda del modello, mentre 10 anni fa costava la metà.
Anche tutte le altre Case hanno aumentato i prezzi, senza creare modelli nuovi, sempre a motori a scoppio. Hanno prodotto anche auto elettriche con prezzi ancora più cari, che in gran parte sono rimaste invendute. Sono prezzi che la classe media dei clienti non può più sopportare.
Inoltre gli acquirenti hanno difficoltà a passare dal motore a scoppio a quello elettrico e non solo per i prezzi più elevati: l’auto elettrica ha anche bisogno di infrastrutture (soprattutto in Italia) necessarie per superare l’handicap della ricarica delle batterie che ne limita l’uso continuo.