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Bispensiero e Neolingua

Tempo di lettura: 3 minuti

Lunedì 31 marzo si è conclusa la diciottesima edizione del Grande Fratello con l’assegnazione del titolo di vincitrice a Jessica Morlacchi in sfida con la modella brasiliana Helena Prestes.
Non ho avuto il piacere di seguire dappresso le trasmissioni, ma sono sempre stato informato sugli andamenti del reality dai TG di Canale 5 che qualche volta vedo in uno stato di nausea per quelli RAI in epoca meloniana. La nuova edizione GF appena conclusa ha beneficiato di un’audience media di due milioni e 690mila spettatori, con uno share del 23.71%; picco del 47,1% di share. Il boom di ascolti – fanno sapere da Mediaset – è arrivato sul target giovani, dove il reality show ha raggiunto il 31.6% di share sui 15-34enni.
Se le notizie possono suonare allarmanti o almeno sconfortanti, beccatevi questa: Big Brother è un format di reality show creato dall’imprenditore, produttore e autore televisivo olandese John de Mol, ed è trasmesso in oltre 40 paesi nel mondo con ascolti analoghi a quelli italiani nelle diverse proporzioni nazionali.

Mi trafigge un interrogativo: tutta questa moltitudine saprà perché il celebre reality si chiama come si chiama? Nel caso, qui di seguito ne faccio un promemoria.

Il Grande Fratello (in inglese Big Brother, inteso come fratello maggiore) è un personaggio immaginario creato da George Orwell, presente nel romanzo “1984” scritto nel 1949. Nel romanzo distopico di fantapolitica, oltreché racconto morale, non viene mai chiarito se sia una persona esistente o semplicemente un simbolo creato dal sistema di potere. Quando Winston Smith, protagonista del romanzo, sottoposto a tortura, chiede esplicitamente se il “Grande Fratello” esistesse o meno, ovvero «Esiste come esisto io?», gli viene data questa risposta: «Tu non esisti».

Nel mondo descritto da Orwell, ovunque nelle città sono appesi grandi manifesti di propaganda che ritraggono il Grande Fratello, con la didascalia «Il Grande Fratello ti guarda», e gli slogan «La guerra è pace», «La libertà è schiavitù», «L’ignoranza è forza».
Insomma si coglie nella fantasia di Orwell una visione profetica. No, non fraintendetemi, non del reality televisivo… proprio del nostro mondo attuale!

Pensiamo a questi due aspetti.
L’unica forma di pensiero ammissibile in quel “1984” è il bispensiero che consiste nella possibilità di credere simultaneamente a due affermazioni tra loro contrarie, anche rigettando la logica. Così «La menzogna diventa verità e passa alla storia» e «Chi controlla il passato controlla il futuro: chi controlla il presente controlla il passato».
La lingua che si parla è l’inglese, ma è in atto l’introduzione della cosiddetta neolingua: un nuovo linguaggio ridotto ai concetti più elementari che rende impossibile il pensiero critico individuale e, soprattutto, censura l’utilizzo di molte parole sgradite come, per esempio «democrazia».

In questi giorni in cui buona parte della comunicazione giornalistica d’attualità è dedicata alle fantasmagorie di Donald Trump, è impossibile rileggere quanto sopra senza pensare a lui e al suo contorno di uomini potenti e incompetenti.
Il bispensiero non è forse analogo alla post-verità trumpiana dove si afferma e si nega tutto senza stare a guardare se l’affermazione ha riscontro con la realtà?

E la neolingua? Dal suo insediamento, il neo presidente degli Stati Uniti d’America ha già fatto revisionare tutta la comunicazione istituzionale e pubblica, ottenendo una consistente riduzione del vocabolario eliminando – censurando – parole come queste: antirazzista, attivismo, vittime, crisi climatica, disabilità, discriminazione, donne, disuguaglianza, femminismo, giustizia sociale, inclusione, LGBTQ, nativo americano, nero, pari opportunità, preferenze sessuali, stereotipo, transgender, violenza di genere… queste sono solo alcune parole che nelle ultime settimane l’amministrazione Trump ha fatto eliminare dai documenti ufficiali, materiali e siti web dei dipartimenti e agenzie federali americani.

Il tutto travalicando la soglia del ridicolo con l’eliminazione della parola “Gay” anche quando associata a “Enola”, ovvero il nome il nome del bombardiere B-29 che il 6 agosto 1945 sganciò su Hiroshima la prima bomba atomica della storia, oltre agli attacchi alla Walt Disney Production perché troppo inclusiva con i propri cartoni animati.

Il bombardiere che prese il nome della amata madre del pilota: Enola Gay

Quindi, lo dico con un bispensiero: siamo rovinati ma un grande futuro ci attende!

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