
Sei e nove
La finestra faceva entrare una luce avvolgente e rassicurante.
Si vedeva il mare in lontananza.
La poltrona su cui era seduta era comoda come un abbraccio… eppure
il suo corpo sembrava quasi fluttuare in quell’atmosfera spesso scandita da lunghe pause di silenzio.
“Insomma come le ho accennato al telefono, ho fatto questo sogno e non vedo l’ora di raccontarglielo… perché mi ha lasciato una sorta di ansia, e devo capire… devo capire perché la mia mente lo ha partorito“ disse F. con voce a tratti ansimante.
“Me ne parli, siamo qui per questo”
le rispose la terapista.
Le gambe accavallate e le braccia appoggiate ai braccioli imbottiti di quella sedia barocca, la facevano sembrare una piccola imperatrice saggia e sicura.
F. non l’ aveva mai vista così elegante e curata.
O forse, non ci aveva mai fatto caso… perché durante quell’ora di vomito emozionale, raramente si soffermava troppo a lungo sul suo volto o sul suo aspetto.
Lo sguardo era più spesso perso nel vuoto, in cerca di una concentrazione atta a fare emergere i flussi narrativi più assurdi.
“Ero nella mia cucina… è una casa vecchia e le mattonelle sono su quasi tutte le pareti… come usava tanti anni fa… a volte mi sembra di essere in una vecchia macelleria… forse un giorno le dipingerò…
Comunque, ero in cucina e ad un tratto le mattonelle hanno iniziato a staccarsi dal muro e cadere.
Allora io tentavo con le mani a braccia aperte, di fermarne la caduta.
Ma loro continuavano a staccarsi e cadere e subito dietro a quelle che si staccavano, ne comparivano altre, diverse, più colorate, e anch’esse cadevano, nonostante i miei goffi sforzi per tenerle premute al muro.
Sembravano i denti di uno squalo… ha presente?
Gli squali hanno più file di denti, così quando cadono o si danneggiano, la fila più indietro avanza e copre la mancanze.
Ecco, queste mattonelle si comportavano come i denti dello squalo…” disse F. sospirando e percependosi sempre più leggera su quella poltrona.
Poi continuò…
“Vede, io ero convinta di poter arginare la loro caduta con le mie mani, non consideravo minimamente l’idea di arrendermi, di smettere di correre a destra e manca…
Ero agitata ma instancabile.
Come un tennista che corre a prendere le palle più impossibili mentre l’avversario dirige il gioco senza sforzo in attesa della vole’ che rallenta il ritmo e va a punto per sfinimento e cambio repentino di strategia”.
La terapista accennò un sorriso.
Poi si alzò dal suo trono barocco e con passo deciso si avvicinò ad F.
Le pose le mani sulle ginocchia chinandosi leggermente su di lei… la guardò dritta negli occhi e con voce decisa e quasi oracolesca scandì e ripeté più volte poche parole…
“Sei e nove…
Sei e nove, si ricordi bene.”
F. rimase immobile.
Il suo sguardo divenne interrogativo, indeciso.
Poi cercò di afferrare le mani della sua terapista, per cercare conforto, ma non riuscì a toccarle.
Anche la poltrona su cui era seduta sembrava essere scomparsa…
Era tutto molto confuso.
Ansia.
Stupore.
Folate di vento improvviso nella stanza.
Un suono ripetitivo, inarrestabile, ossessivo.
Un sussulto scosse il corpo di F.
F. aprì di colpo gli occhi.
F. era nel suo letto.
La luce del sole trafiggeva la finestra della sua camera.
Il cellulare sul comodino.
“Posticipa sveglia?”
Sei.
Nove.
Primo giorno di primavera.
Buongiorno.