
David occhi diversi
C’era una volta un gatto.
Portava un vestito grigio tigrato e una linea di colore scuro sulla fronte disegnava una grande lettera M sopra il suo sguardo.
Aveva degli occhi incredibili, diversi… uno giallo ambrato e uno azzurro.
In termini scientifici quando le iridi non hanno lo stesso colore, si parla di eterocromia… e proprio per questo, lo chiamavano tutti David, come Bowie (anche se David Bowie in realtà era affetto da anisocoria, ovvero una pupilla rimaneva costantemente dilatata e diversa dall’ altra per dimensioni, a causa di un danno di tipo neurologico in seguito ad un trauma).
Viveva in città ,viveva un giorno alla volta.
Un quartiere come regno.
Libero, anarchico.
Ossequioso solo nei confronti del cielo.
Il sole e la pioggia, erano i suoi unici padroni.
Li portava nello sguardo.
Li portava nel cuore.
David era un tipo solitario, difficilmente si concedeva… e non faceva distinzioni.
Uomini e animali avevano lo stesso spessore.
Uomini e animali, potevano godere della sua compagnia solo per pochi istanti.
“Mai dilungarsi troppo” diceva.
“Che i miei occhi vedono tutto, il dentro e il fuori, le ombre e la luce… e poi finisce che divento triste, e non mi va, se non a piccole e sopportabili dosi”.
Una mattina presto, mentre girellava ozioso per il quartiere annusando i profumi del risveglio,
s’imbatté in uno sconosciuto.
Non lo aveva mai visto prima in giro.
Era un uomo ben vestito, con un cappotto a doppio petto color caffè e una borsa porta documenti sottobraccio.
Alto, frettoloso nei movimenti, dallo sguardo imperscrutabile.
Camminava verso David e lo fissava con un mezzo sorriso che si dilatava sempre di più.
“Gatto, buongiorno!” disse.
David rimase sorpreso da tanta inaspettata confidenza, quindi, si mise seduto proprio nel bel mezzo del marciapiede.
La curva della sua schiena diventò meravigliosamente sinuosa.
Sembrava una statua sacra egizia.
Così osservò il suo interlocutore venirgli incontro.
Poi, quando l’uomo gli fu sufficientemente vicino, alzò il muso e lo fissò dritto negli occhi.
“Gatto, sono di fretta, fammi passare!” disse l’ uomo.
David rimase immobile.
Il suo occhio pieno di sole non scorse calore alcuno.
Allora fece un accenno di fusa, per dare un suono pieno di anima e tepore a quella pausa.
L’altro occhio, quello freddo e pieno di pioggia, percepì la sua fretta.
La sentì come un’ esigenza per non pensare.
Per non soffrire.
Per non avere tempo di vivere e dimenticare al contempo di poter morire.
David allora provò tenerezza…
Socchiuse gli occhi, si fece ponte inarcato e morbido strofinandosi sulle gambe di quello sconosciuto che allora, fu costretto a soffermarsi.
L’ uomo abbassò la testa per osservare quel piccolo animale tanto sfacciato quanto minuscolo nei confronti dell’ universo.
Immaginò di capovolgersi come una clessidra che deve darsi un nuovo inizio dopo aver consumato l’ultimo granello di sabbia.
Si prese un attimo per compiacersi della possibilità di poterlo fare.
Sospirò.
Sentì il calore del sole da poco innalzatosi nel cielo sul viso.
Sorrise.
David sgusciò lentamente dai suoi pantaloni e andò oltre, perdendosi dietro la cantonata.
Le sue fusa si placarono inghiottite dal rumore del traffico.
Era un lunedì.
David aveva fame.
Era un giorno tutto da vivere.