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Incubo

Tempo di lettura: 2 minuti

Stava male, molto male. Lo avevano ricoverato presso malattie infettive con oltre 42 di febbre, la nuca ed il collo completamente rigidi, le tempie che scoppiavano, lo avevano portato a braccia dal letto all’ambulanza.
Ora se ne stava solo in quella stanza di isolamento, come quelle che si vedono nei film con il vetro per guardare dentro senza entrare.
Di positivo c’era che non aveva perso conoscenza anzi era stato talmente lucido da raccontare personalmente ai medici tutto ciò che lo riguardava; la diagnosi era stata dura: meningite in prognosi riservata. E ormai erano 72 ore che andava avanti con dosi di antibiotico da cavallo e per di più non riusciva a dormire.
In realta’ ogni tanto provava a chiudere gli occhi ed assopirsi ma immediatamente cominciava l’incubo; si, come in tv quando si ferma un film e poi si riparte dall’ultimo fotogramma visto. Ma era un incubo.

In cima ad una scalinata tondeggiante avvolta in un inquietante buio, appariva una figura vestita con uno sgargiante soprabito giallo, di un tessuto un po’ rigido, lungo fino ai piedi che nascondeva la forma del corpo, forse di una donna, con questo giallo lucido riflettente e abbacinante come quelli usati da Franck Gerard nelle sue foto.
Si muoveva lentamente quasi galleggiando sul mare di sangue carminio che inondava i gradini della scalinata ed il sangue scendeva con continuità denso, lucido, molle lungo i larghi gradini rotondi.
Ed aveva un ombrello.

Non c’era pioggia anzi non c’era nemmeno il cielo, era tutto buio ma l’ombrello aperto riluceva come fosse fosforescente di una leggera luce bluastra. Per un attimo, che non sapeva nemmeno lui quanto fosse stato lungo, si era assopito ma ora voleva aprire gli occhi, aveva paura di quel buio, del sangue, del soprabito giallo. Finalmente di nuovo la sua stanza, la flebo, quella biancastra luce al neon; niente incubo ma tanta stanchezza. Aveva appena chiuso nuovamente gli occhi che immediatamente appariva di nuovo la scena: la figura in giallo con l’ombrello, camminando sul sangue quasi galleggiando, si avviava di spalle verso l’uscita dell’aeroporto di Parigi oltre la cui porta si vedeva cadere una pioggia battente (lui non si stupì per l’aeroporto, era un incubo!).

Sangue che colava ovunque ma nemmeno uno schizzo sul mantello lucido; voleva uscire da quell’incubo e apriva gli occhi ma la febbre era alta e ricadeva nel torpore. Appena chiusi gli occhi, la scena compariva di nuovo e lui ora inseguiva la figura con l’ombrello verso la uscita dell’aeroporto, voleva guardarla in faccia… chi era? perché lo stava perseguitando?

La paura però gli aveva fatto riaprire gli occhi ma solo per un attimo e appena li aveva richiusi ancora quella figura, quel sangue, quell’ombrello. Stavolta però era vicinissimo, stava mettendo la sua mano sulla spalla del mantello giallo quando ormai erano già fuori dell’aeroporto sotto una fitta pioggia che tamburellava sulla tela dell’ombrello.

Ecco, stava per girarsi, cresceva l’ansia ma non voleva aprire gli occhi, voleva sapere, anche se quasi gli mancava il respiro. Un attimo, la figura si volta verso di lui … aaah!! … una testa di aquila con gli occhi gelidi di cattiveria lo fissava da vicino e con il becco aguzzo ed acuminato cercava proprio i suoi di occhi.

Un attimo, è di nuovo sveglio e solo; il respiro affannoso e intorno la stessa stanza di ospedale di prima. Era solo un incubo: tanti di noi fanno brutti sogni e quasi sempre non si riesce a ricordarne la storia: qualche volta però al mattino dopo la memoria ci aiuta, poi si cancella tutto.

Lui, dopo oltre 40 anni, ricordava ancora tutto come se fosse accaduto quella notte.

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