La cinciallegra e la volpe
Era inverno,
il freddo non era diventato ancora così rigido e pungente.
In compenso la molta pioggia caduta, aveva fatto sì che
la terra assumesse il colore deciso della polvere di caffe’.
Il bosco era un teatro attutito.
Tutto era ricoperto di foglie che
sembravano macerare per finire di morire lentamente, senza fretta, respirando sempre più piano.
Su un ramo ormai spoglio e proteso verso il cielo come un dito ossuto, saltellava una cinciallegra.
Sempre vestita a gran festa.
Una riga nera le divideva il petto come avesse una bellissima giacca di taffetà verde acido, sgargiante e perfettamente abbottonata.
Un cielo grigio carta da zucchero si muoveva sullo sfondo.
Si sa, il verde, è un colore presuntuoso.si narra che chi lo indossi, sia convinto della sua beltà… e la cinciallegra festeggiava.
Perché il verde è il colore della speranza, del freddo che arriva e trova la resistenza.
Non a caso, le piante sempreverdi non si spogliano d’ inverno.
Resistono.
La cinciallegra aveva anche un paltò verde bosco impreziosito da geometrie bianche e nere degne di un grande atelier e,
nonostante si agitasse e cantasse in tutte le tonalità del creato, non si spettinava mai.
A volte gonfiava solo le piume, per divertirsi a sembrare meno esile e vedere l’ effetto che faceva.
Poco più in là, in una piccola radura dove il sole aveva disegnato un occhio di bue timido e silenzioso, apparve una volpe.
La sua coda era incredibilmente morbida e setosa.
Il rosso della sua pelliccia creava una macchia di colore calda in mezzo al grigiore di quel giorno di Dicembre.
Una leggera folata di vento le accarezzò il muso e le portò odori di brace provenienti da chissà dove.
Socchiuse gli occhi, alzò il naso.
Aveva fame.
Poi, all’ improvviso, schiarita la voce con un leggero colpo di tosse come i grandi oratori prima di accingersi a pronunciare un toccante discorso, si rivolse alla cinciallegra.
“Mi hanno detto che tu sei un esserino dotato di una gran memoria… non scordi mai dove hai trovato il cibo e sei stata bene”.
“Vero!”
Rispose lei tutta orgogliosa agitando il petto come una soubrette in un tabarin di altri tempi.
E ancora la volpe:
“E ricordi anche le tue pene? Il dolore e la tristezza?”
“Certo” rispose lei pulendosi il becco sul petto.
“Ricordo tutto, il bene che mi fa cantare e il male che mi ha costretto a lottare per sopravvivere.
Infatti, non giudico.
Mai.
Nessuno in fondo qui, può.
Ho beccato uova altrui e me ne sono nutrita.
Perché non avevo scelta.
Non avevo altro di cui cibarmi.
Ho difeso il mio nido, ho guadagnato ogni singolo giorno della mia vita… esattamente come te.
Sono sole e sono buio.
E canto, perché non amo arrendermi.
Festeggio ogni giorno con allegria, perché mi sveglio con i progetti delle loro albe e ho ancora il ricordo dei tramonti che le hanno precedute”.
La volpe fece un giro su se stessa e si sistemò a favore di vento.
Odiava sentire i suoi baffi piegarsi e flettersi disordinatamente per il capriccio di un soffio.
Allora la cinciallegra fece un balzo e si posò su una roccia coperta di muschio più vicina alla sua interlocutrice.
Il verde profondo di quel tappeto umido e profumato la faceva sembrare ancora più sgargiante e preziosa.
In quell’attimo di silenzio, poté udire il battito incredibilmente lento del suo cuore.
Era serena, tranquilla nonostante di fronte a sé, avesse uno dei predatori più furbi e agili del bosco.
Così, scegliendo una tonalità di voce che fosse lontana dai suoi incredibili acuti per mescolarsi senza troppa invadenza al sottofondo di quell’attimo, chiese:
“E tu? Sei davvero così furba e scaltra come dicono?”
“Rischierei di non sembrare molto umile se ti rispondessi di sì.
Ma la mia furbizia è parte del mio istinto.
È nel mio sangue.
Faccio di necessità ingegno, come ogni predatore.
Devo per forza ritenermi più furba della mia preda.
È la prima scintilla che accende la mia caccia” rispose la volpe
Poi sbuffò…
Una pausa di silenzio lasciò arrivare il rumore di un ruscello poco più lontano e aggiunse:
“Forse non sono così furba in fondo… giudico semplicemente più stupido di me chi voglio mangiare“
“Allora posso salvarmi dalla tua bocca!“
Esclamò di nuovo acuta la cinciallegra e poi, proseguendo con tono di nuovo pacato:
“Io non mi giudico inferiore a te… tu sei solo affamata… ma sputeresti penne colorate come coriandoli fastidiosi se tu mi mangiassi e questo odore di brace ti ha già portato lontano con i sensi.
Io sono nata cinciallegra.
Sono nata per essere fiera senza rancori o pentimenti.
Sono nata per stare al mondo come e quanto te.
E non ti temo più”.
Così la cinciallegra, balzò di nuovo su quel ramo spoglio da cui aveva visto tutto con chiarezza e accompagnò con lo sguardo il trotto della volpe decisa a congedarsi in cerca di ghiotti profumi da rincorrere.
E continuò a festeggiare di essere venuta al mondo.
Colorando il cielo e il silenzio con il suo verde.
Nella resistenza.
Nella speranza.
Per la vita.